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L’allevamento dei manzi di razza wagyu nasce grazie ad un progetto avviato nel 2007, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e il finanziamento di Unioncamere Lombardia. Oggi, conta circa 30 capi di razza pura, che avvieranno una produzione destinata crescere sempre più. 

La fase iniziale del processo ha richiesto molto lavoro, perché dagli anni ’90 è proibito esportare capi dal Giappone e perciò le tecniche per ottenere gli embrioni sono molto delicate. 

Oggi i manzi della Ferrazzi Cova sono fra quelli con i valori genetici e morfologia migliori in Europa. Le tecniche di allevamento hanno margini di miglioramento ma già ora i manzi sono alimentati a fiocchi di mais, avena, favino, farina di mais e semi di lino (ognuno mangia 10kg al giorno di questa miscela).

La carne di questi animali è quasi priva di colesterolo e ricca di vitamine e di grasso intramuscolare, la cosiddetta marezzatura, che in un bovino comune arriva al 3% e nel wagyu al 10 per cento.

Altra particolarità è che si tratta di grassi insaturi, che conferiscono a questa carne sapore e tenerezza eccezionali.  Non per nulla le carni di manzo Wagyu sono valutate da un disciplinare rigoroso definito dal Ministero dell’Agricoltura, che attraverso un’apposita scala ne misura sia la qualità –con indicatori che vanno da 1 a 5 e che tengono conto di colore, consistenza, venature e qualità del grasso– sia la resa, con parametri che vanno da A a C.

Chiaramente il valore di questa carne è molto alto e il mercato di riferimento è quello dell’alta ristorazione: in Giappone un manzo di Kobe allevato in maniera tradizionale viene venduto sul mercato interno al prezzo medio di 300 euro/Kg peso vivo. In Italia, i prodotti di animali allevati – sebbene con tecniche meno sofisticate – in Nuova Zelanda, Stati Uniti e Argentina -arrivano al mercato dell’alta ristorazione a prezzi dell’ordine di 90-110 euro/Kg di carne per i tagli più pregiati.

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